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HomeStorie di famigliaLe vostre storia di famiglia

Catalogo: Le vostre storia di famiglia

Matrimonio a Tobbiana di Vasco Cecconi e Lorena Piccini, 3 aprile 1948, genitori di Saverio Cecconi

La mia ricerca parte da storie di tanti anni fa, storie tramandate e sentite in casa, in famiglia, racconti quasi sussurrati a me e ai miei fratelli dal mio babbo nel corso della sua vita; storie non sempre facili da raccontare, ma intense e vere; storie che hanno segnato profondamente tutta la mia famiglia.
Mi chiamo Saverio Cecconi, sono nato e vivo a Prato e queste sono le storie della mia famiglia, che ho provato a documentare con la ricerca in archivio.

È il 1935. Il regime fascista promuove la campagna nazionale “Oro per la patria”. I Cecconi, contadini di un podere a Casale, frazione della piana pratese, non hanno niente di valore da consegnare all’incaricato locale, tranne un vecchio registro di conti della tenuta, un tempo di proprietà della cittadina comunità domenicana di San Vincenzo. Mio nonno decide di donare questo quaderno, così prezioso per la famiglia, perché al suo interno, si dice, ci sono annotazioni di mano di Caterina de’ Ricci (1522 – 1590), santa mistica domenicana, che ha vissuto tutta la sua esperienza religiosa proprio nel citato monastero e alla quale da sempre i pratesi sono devoti.

Mi metto alla ricerca di una possibile ricevuta che attesti la consegna del documento e sfoglio i sei grossi volumi attestanti le consegne di preziosi della campagna fascista tenuti dall’allora Cassa di Risparmio di Prato e oggi conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Prato: purtroppo, lo spoglio non ha esito positivo. Il territorio di Casale presenta poche ricevute rispetto al numero della popolazione. La fine del registro di Santa Caterina de’ Ricci rimane nebulosa.

AS Prato, Comune di Prato, 592, s.n., Descrizione dei fuochi e delle bocche della città e del contado, 1642, registrazione relativa a Domenico Cecconi e famiglia

Nel frattempo mi appassiono alla ricerca e decido di conoscere meglio le mie radici, i Cecconi. Sono in pensione: ho del tempo da dedicare a questo nuovo interesse. Nello stesso Archivio Diocesano comincio a consultare gli Stati delle anime della parrocchia di Casale, per verificare la presenza della famiglia, nello scorrere delle generazioni, su questo territorio. Senza troppe difficoltà riesco a documentare come i Cecconi siano qui attestati ininterrottamente dal 1683. La prima famiglia rintracciata è quella di Francesco di Domenico Cecconi, grazie allo Stato delle anime della parrocchia di S. Biagio a Casale del 1683. Sempre scorrendo gli Stati delle anime noto anche che i Cecconi hanno lavorato in vari poderi; fra questi ce n’è uno tenuto ininterrottamente dai miei antenati dal 1721 al 1816, all’inizio di proprietà delle monache di San Vincenzo e, conseguentemente alla soppressione degli inizi del XIX secolo, passato in mano ai frati conventuali.

E prima? Decido allora di fare un salto in Archivio di Stato a Prato: qui, quasi per caso, in una filza seicentesca della comunità di Prato mi imbatto in un elenco delle bocche, divise per popolo del 1642.

Trovo quello che cerco e anche di più. Domenico Cecconi, con 18 persone a carico, è lavoratore dei Ceppi.

AS Prato, Casa pia dei Ceppi, 462, cc. 238v – 239, Allogagioni segnato B, 1570-1585, il podere tenuto da Gabriello di Francesco Cecconi

Questa informazione è fondamentale per proseguire e arricchire la mia ricerca familiare, consentendomi di avere dettagli inaspettati e di superare i limiti cronologici legati ai documenti tradizionalmente usati per la ricerca genealogica. I Ceppi sono un’istituzione territoriale di assistenza, nata dalla fusione cinquecentesca di due enti medievali, il Ceppo Vecchio, fondato da Monte di Turingo Pugliesi nel 1282, e il Ceppo Nuovo, voluto da Francesco di Marco Datini nel 1410. Questa istituzione ha una grande patrimonio fondiario, che dà in locazione.

La documentazione prodotta da quest’ente è ancora oggi custodita proprio a Palazzo Datini, sede dell’Archivio di Stato di Prato. Grazie ai contratti di allogagione ricostruisco il lungo rapporto di fiducia tra i Ceppi e i miei antenati, che gestiscono dagli inizi del Cinquecento loro proprietà, dislocate nella campagna posta a sud-ovest della città: Paperino, Sant’Ippolito in Piazzanese, Galciana, Iolo, Casale, Tavola.

Decido di consultare i registri dei battesimi, matrimoni e morti di queste parrocchie, conservati stavolta in Archivio Diocesano a Pistoia. L’albero genealogico che riesco a tracciare presenta più di 300 nominativi, a partire dal 1483.

Nel completare e consegnare la storia della mia famiglia non voglio, né posso tralasciare un ultimo tassello, grave e doloroso, quasi appena accennato e sempre con pena e pudore ancora una volta dal babbo.

Archivio Storico Diocesano, Prato, Fondo Fantaccini, fascicolo 880, Memorie di monsignor Fantaccini, Lettera di mons. Fantaccini al parroco di Tobbiana del 28 giugno 1944

Si tratta di un grave episodio accaduto alla sorella di mio padre nel 1944, a Tobbiana di Prato, in località Goraccia, dove i Cecconi gestiscono un podere. Mia zia Iolanda è una bella ragazza, poco più che ventenne, conosciuta da tutti in paese per il suo impegno costante tra le fila dell’Azione Cattolica in parrocchia. È ben nota anche la sua vocazione religiosa: entrata per probandato tra le benedettine di San Clemente, durante i mesi più drammatici dello svolgersi della guerra, torna a casa, a Tobbiana, ritenuta rifugio più sicuro nei confronti del monastero cittadino. Qui, invece, è vittima di una tentata violenza da parte di militari nazi-fascisti. I soldati tengono sotto la minaccia delle armi tutta la famiglia; la ragazza, da sola, riesce a difendersi, ad impedire lo stupro. Le conseguenze sono drammatiche: picchiata a sangue e quasi ridotta in fin di vita, è costretta a un lungo ricovero. Le cure sono molteplici e costose, sostenute totalmente dai familiari, che spendono tutto il patrimonio messo da parte: una cospicua somma, destinata in prima istanza proprio per comprare il podere da loro lavorato. L’acquisto sarà solo rimandato; Iolanda, ristabilitasi, prende i voti religiosi prima tra le Spigolatrici della Chiesa, poi nella Pro Verbo di monsignor Danilo Aiazzi. Zia Iolanda custodirà per tutta la vita con grande dignità e riservatezza la disgrazia accadutale e le sofferenze sopportate.

Archivio Storico Diocesano, Prato, Fondo Fantaccini, fascicolo 880, Memorie di monsignor Fantaccini, Lettera di don Martino Mati, parroco di Tobbiana, a mons. Fantaccini al parroco di Tobbiana del 1° luglio 1944

Anche su quest’evento ho voluto indagare e provare a rintracciare documentazione storica. Nell’Archivio Diocesano di Prato ho trovato il resoconto dell’episodio di “eroismo e crudeltà” redatto per la curia dall’allora parroco di Tobbiana, come pure, nel fondo Fantaccini, tutta la corrispondenza in merito all’accaduto tra il prelato e il comando tedesco e l’invio di informazioni da parte di monsignor Fantaccini al parroco di Tobbiana.

Ancora, nel fondo Aldo Petri, presso la cittadina Biblioteca Lazzerini, si ricorda come nel primo anniversario della fine della guerra mia zia sia stata insignita, assieme ad altri, di “attestato di eroismo”. Si chiariscono i non detti del babbo, comprendo, ora più che mai, scelte e decisioni familiari e quanto queste decisioni abbiano voluto tutelare me e i miei fratelli; la stima, già grande, per zia Iolanda diventa infinita!

La famiglia Cecconi oggi

Ora è arrivato il momento di consegnare la storia della famiglia Cecconi a mio figlio, ai miei fratelli e alle loro famiglie, perché solo con la consapevolezza del nostro passato, possiamo comprendere al meglio il presente e guardare fiduciosi al futuro.

 

 

 

 

 

 

 

Ritratto di matrimonio, 23 gennaio 1941

It was in August 2019 that my father and I decided to begin researching our family history.  We had both read a news article that stated one only needed to prove bloodline to become an Italian citizen.  We entered the journey like two boys looking for treasure and hoping to find on the other end a red Italian passport that would link us to a history of our lives of which neither of us was truly aware.

As a child growing up in southern California, I always heard stories of our family being from Abruzzo. This sounded to me like a far-off distant land.  My grandmother (Maria Isabella Jaqubino) would use small Italian phrases to this day I cannot remember.  But somehow, I was always proud of my Italian heritage, even though I really knew nothing about it – aside from my last name – Tomassi.  A name that, because of the Italian spelling, had surely been changed or misspelled when my ancestors arrived in America – more likely something along the lines of Tommasi or Tommassini.  I went through my life accepting that my name was the result of a disinterested customs agent, tired and blurry-eyed from the hundreds of immigrants that passed through Ellis Island each day early in the 20th century.

In 1994, my wife and I were fortunate enough to be stationed with the U.S. Air Force at Aviano Air Base in northern Italy.  I had secret dreams of finding relatives and learning about my family.  However, as a naive young man in my late twenties, I left Italy four years later not speaking the language at all and no further along in my casual pursuit of family history.

Years passed by as they do,  my grandmother died and with her much of the knowledge of where our family originated.  When my father and I both read this article in 2019, it opened a new excitement and thirst for knowledge that sent me spiraling into the internet for days and weeks in search of our ancestors.

Because I live in Germany and my father in Florida, I researched deep into the night with him on a video teleconference.  We were using an account my mother created years ago with ancestry.com for her own research and we started adding people we knew into our family tree.  It was at that point I discovered the Portal of Ancestors at http://www.antenati.san.beniculturali.it/.

Through this portal I discovered my great grandfather (Antonio Michael Tomassi) married his wife (Anna Francis Incorvati) in Chicago, Illinois, 17 Apr 1911, and the marriage was registered with the Parrocchia Santa Maria Assunta in Amaseno, Frosinone, Lazio, Italy.

Through Facebook, I was able to contact the parish priest, Don Italo Cardarilli, who personally sent me images of the marriage certificate and of Antonio’s baptism record. This unbelievable stroke of luck and kindness from Don Cardarilli, led me to find Antonio’s parents who were from Fagnano Alto, L’Aquila, Abruzzo, Italy.

Bingo.  I found the connection to Abruzzo my grandmother always talked about and I continued to dig deeper with my research.  Suddenly it wasn’t an unknown place far from comprehension, it became real and somehow reachable.  Unfortunately the Portal of Ancestors currently doesn’t have digitized files for Lazio (hopefully it will someday soon), but the files for L’Aquila abound.  As I delved deeper into the archives, I discovered ancestors I never knew existed.  Antonio’s parents (Angelo Giovanni Tomassi and Vittoria Di Fabio); Angelo’s parents (Emido Tomassi and Anna Vincenza Bernardi); Emidio’s parents (Giuseppe Tomassi and Domenica Chiodi); and Giuseppe’s parents (Domenico Tomassi and Ascenza Elisabetta Presutti) – all the way back to 1727!Along the way I discovered relatives from every branch of our family tree using the Portal of Ancestors – Atenati.  I’ve learned to decipher Italian birth certificates, marriage certificates and death certificates.  I’ve studied the beautiful, alluring scroll of old Italian script.  I recognized that an “s” can sometimes be mistaken for an “f”.  And I also recognized that my last name did not in 1902 when Antonio stepped off that ship in New York City.  It was either by luck or by sheer perseverance of Antonio to ensure the name was spelled correctly.

Particolare dell’atto di battesimo di Antonio Michael Tomassi, 29 dicembre 1882

My research has taken me to places I never expected or imagined.  I expanded my research to assist my mother with her family history.  Together we have linked her family to the Colonial days of America and well beyond to Wales and England from the 1400’s.  I’ve also started researching my wife’s history in Germany.  I’ve discovered images of her grandfathers who were victims of corrupt governments and forced to fight in two World Wars.

I could go on for hours describing the finds and treasures I have found conducting research of my family history in what I believe to be three different branches – Italy on my father’s side; America and England on my mother’s side; and Germany on my wife’s side.

Atto di matrimonio, 23 aprile 1911

But this story is about Italy.  About how my family name has remained intact for nearly 300 years from a small hamlet in Abruzzo, to a village in Lazio and finally to America.  This story is about how Atenati helped me connect to Don Cardarilli and how his kindness unlocked the names allowing me to find greater riches within our family history.

I have reconnected with aunts and uncles who remember family names and relatives and I continue to fill in holes in our family tree.  I have connected with people who I believe to be relatives in Amaseno and long for the day I am able to visit there and walk the streets and paths my great grandfather walked.I don’t know if Domenico Tomassi was the first Tomassi. I don’t know why he born in Fagnano Alto in 1727.  I don’t know who his parents are or where they came from.  I don’t know why Antonio decided to move from Fagnano Alto to Amaseno some time around the turn of the century that later led him to settle in Chicago and raise a family there. His son (John Joseph Tomassi), the grandfather I never had the honor to meet, died before I was born.  But he started a family and continued a name that lives through my sons, my brother’s children and so many other aunts, uncles, cousins, sisters and brothers that carry the Tomassi name.

My father has an appointment at the Italian Consulate in Miami, Florida, in February 2022 to have his paperwork checked to start his path to Italian citizenship.  It’s a dream of his that I’m eager to help him achieve, because in 2027, exactly 300 years after the birth of Domenico Tomassi, I hope to do the same thing – become Italian, seven generations later.

Antonietta Scopelliti, madre dell’autrice

La mia passione per la genealogia è nata dalla sofferenza. Dalla sofferenza di mia mamma Antonietta strappata alla sua città – Reggio Calabria – e ai suoi affetti e dalla mia sofferenza di bambina cresciuta senza poter contare sull’affetto dei nonni, senza potersi confrontare con le proprie radici.

Mia mamma leniva la sofferenza raccontandoci della sua infanzia e della sua città, descrivendone i colori, la luce abbagliante, i profumi di mare e di gelsomino, il sapore delle arance e delle annone rubate sugli alberi.  Il suo racconto proseguiva con la descrizione di mia nonna, affacciata al balcone sullo stretto a controllare l’Etna, la sua paura dei terremoti, l’amore per i cavalli, e poi di mio nonno bambino segnato dal dolore per la perdita della mamma morta di anemia dopo un parto gemellare (li ho poi trovati nei registri di stato civile quei due bambini morti piccolini di cui nessuno ricordava più il nome). E poi ancora il bisnonno dai capelli rossi e dagli occhi azzurri, alto come un vichingo, retaggio della dominazione normanna, e gli altri bisnonni di cui si sapeva solo che erano braccianti impegnati nella raccolta e lavorazione del bergamotto da inviare a Parigi per produrre i profumi.

Ed era sempre sofferenza quella di mio padre Diego che, a differenza di mia madre, non raccontava niente della sua famiglia, ma teneva stretto nel cuore il ricordo di suo padre, morto giovane per un incidente sul lavoro proprio sotto casa, dopo aver superato indenne le due Guerre mondiali e le fatiche degli anni di lavoro in Africa. E anche il suo silenzio, al pari dei racconti di mia mamma, mi costringeva a cercare per sapere…

Nell’adolescenza ho finalmente visto Reggio Calabria e quella luce e quei profumi, così diversi dal grigiore della città di Bergamo e la magnifica vista sullo stretto, mi sono rimasti per sempre nella mente. Il desiderio di risalire indietro nel tempo per conoscere le persone che mi avevano preceduto, per sapere come erano e come vivevano si è fatto più forte e ho incominciato a raccogliere le poche fotografie rimaste, i fogli matricolari con l’indicazione delle caratteristiche fisiche dei miei nonni, i ricordi dei parenti.

La vita ha voluto che lavorassi per molti anni negli uffici di stato civile della mia città acquisendo quelle abilità necessarie per decifrare le informazioni dei registri e dei documenti antichi. La digitalizzazione dei documenti di stato civile del portale ANTENATI e dei registri parrocchiali della diocesi di Reggio mi ha permesso di ricostruire la storia della mia famiglia fino alla fine del 1500, perché a saperli leggere i registri antichi dicono molto di più di date e nomi. Raccontano di sofferenze, di gioie, di cambiamenti, raccontano delle guerre, dei terremoti devastanti, delle emigrazioni.

Infine, come ultimo tassello della mia ricerca, l’analisi del DNA che ha confermato la forte componente mediterranea della mia famiglia, aggiungendo una notevole componente mediorientale e, in piccola parte, asiatica e nord-europea permettendo di andare ancora più indietro nella conoscenza del viaggio che i miei antenati hanno compiuto per arrivare in Calabria.

Spero di lasciare alle mie figlie (entrambe con i capelli rossi proprio come il mio bisnonno) la consapevolezza delle proprie radici e la conoscenza degli uomini e delle donne che le hanno precedute perché raccolgano il testimone nella grande staffetta della vita.

Diego Scopelliti, padre dell’autrice
Diego Scopelliti, nonno dell’autrice
Saverio Scopelliti, nonno dell’autrice

My paternal grandmother, Erminia Imbriano, has always been a mystery to me.   She is my namesake and I’ve always been curious about her especially since I knew very little about her.  She died very young, shortly after getting married and having two children, my father Guglielmo and my aunt Filomena. When my father spoke of her, he remembered her as if he were describing a dream sequence in a Federico Fellini film. He was six years old when she passed and he recalled a shadow, a surreal outline of a woman without distinct characteristics; he had trouble remembering her image. To this day, I’ve never even been able to find her photograph.
Ritratto di Antonio Maria Gioino con la divisa da bersagliere nella prima guerra mondiale
Erminia was born in 1906 in Sant’Angelo Dei Lombardi in the Avellino province.  I knew she lost her entire family and married my grandfather, Antonio Gioino. She relocated to Lioni where she lived the rest of her life. My journey began in 2019 before I knew that the infamous virus, Covid-19, would ravage the US. We have 4% of the world’s population with 25% of Covid-19 cases. The New York and New Jersey areas were hit the hardest in March of 2020. We were confined to our homes in mid- March and not being able to go about daily life, I finally decided to continue digging into my grandmother’s background. I became aware of the website Antenati through a message board on Ancestry.com. Antenati guided me in finding the story of my grandmother’s short life.  It was more tragic and heart-wrenching than I could ever have imagined. In the beginning of my research efforts, I found so much joy and happiness with the first few records I discovered. I found Erminia Imbriano’s birth record which documented her parent’s names; I never heard them before. Her father, Francescoantonio and her mother Angela Venezia who were my great-grandparents. Knowing their names, I searched for records of other children born in Sant’Angelo in that time period. I found records of four other daughters; they were my grandmother’s sisters. I was overtaken with joy on a late night in 2019 knowing that my grandmother had a large family who loved her. My happiness turned to sadness and sorrow as I continued to search through Antenati records.  I found that in November of 1918, when Erminia was 12 years old she lost her entire immediate family. The records sadly document that her mother, Angela Venezia (age 42) died first.  Then came her sister, Felicia (age 22), then Maria Michela (age 18), then Filomena (age 10), then Ernestina (age 14). The last person to pass was my great grandfather Francescoantonio Imbriano (age 45). It’s as if he waited until everyone was taken care of before he passed himself. In total, twelve people from the Imbriano family died in November 1918 in the small mountain town of Sant’Angelo dei Lombardi. I am still searching to identify the remaining Imbriano family and how they were related to my grandmother. about her.  She died very young, shortly after getting married and having two children, my father Guglielmo and my aunt Filomena. When my father spoke of her, he remembered her as if he were describing a dream sequence in a Federico Fellini film. He was six years old when she passed and he recalled a shadow, a surreal outline of a woman without distinct characteristics; he had trouble remembering her image. To this day, I’ve never even been able to find her photograph.
Ritratto di Guglielmo Gioino
In 2019, the term “Covid-19” did not exist. I began to research pandemics that occurred in that same period and narrowed it down to two options- the Spanish Flu or the malaria pandemic.  I suspected that it was the Spanish Flu because malaria was mostly present on the coastlines of Italy. The province of Avellino is located in the mountainous regions of central Italy. My father always mentioned that mosquitos were rarely seen in Avellino, unlike the mosquitoes that he experienced in Montevideo, Uruguay and in later the US.  It was more probable that it was the Spanish Flu since it was brought back by soldiers of WWI without therapeutic measures available. I also knew that quinine was used to treat malaria. My father passed away in 2004 and any information he was able to share with me was forever lost. In April of 2019, my 96-year-old uncle fell ill and I visited him and my aunt Filomena (Erminia’s daughter) in the hospital. I shared with my aunt what I had discovered using Antenati records. She was very surprised and moved that I was able to find such dated information. I told her I was still searching for the reason my grandmother died so young. To my surprise and shock, she reluctantly whispered “La Spagnola” when no one was looking and revealed the long-held family secret. La Spagnola is the Italian translation for the Spanish Flu. I had an awakening of sorts and thought about the time period that both my father and aunt lived through. In 1918, the Spanish Flu was met with suspicion and panic. It was viewed as the Black Death and a great plague inflicted on whole families, small towns, an entire country and the world. People must have looked to explain their helpless predicament based on the their deeply ingrained religious culture. Catholicism has a way of identifying sins and perhaps it was considered a great punishment inflicted on a whole family. Those beliefs were sure to have impacted my father and aunt into the 1940s as they were coming of age. My aunt is 94 years old, and I believe these beliefs are still ingrained in her consciousness. I understood perfectly why she never told anyone this secret. I did not know there was another secret she would later reveal. My grandfather, Antonio Gioino and grandmother Erminia were married in 1921. The Antenati marriage record indicates that Erminia was 16 years old, when in fact she was 15. The family story is that she had great wealth as she had inherited all of her family’s assets at a young age. In 1921, her family was fearful that she could be kidnapped and decided that the best option for her safety would be to get married. She married my grandfather and moved from S’Angelo Dei Lombardi to Lioni and her dowry included the purchase of one of the best homes in the center of town. A beautiful home with great rooms, a grand staircase and a stained -glass skylight window. She was chauffeured to Lioni in a beautiful car and she was so young that many of the neighbors thought she was part of the bridal party instead of being the bride. I do not understand why I was never able to find a picture of her. It is very likely pictures of her wedding were taken since she had the financial means. Having lost all of her family at age 12 and moving to another town must have been very frightening to her, but what was about to transpire was truly tragic. Her first daughter, Filomena was born in 1926, followed by her son Guglielmo (my father) in 1928. I look very much like my father in physical appearance, but also in personality traits such as my love for school, history and science. In 1933, her third child, Angiola was born, but she died when she was a few months old in May 1933. I never knew the existence of this child. Filomena looks very much like my grandfather Antonio and I can guess that my father looked just like my grandmother. She became very ill and was hospitalized in Naples for a period of time. My father told me that when she came back home to Lioni, she was confined to her bedroom and he could see his mother by looking through a keyhole. He was not allowed in the bedroom to be near her. I can’t imagine what it would feel like not to be able to hold your own children or not to be held by your mother. On August 10, 1934 she lost her battle with “a terrible illness”. Her death has always been a mystery. I discussed my findings with my Aunt Filomena, and she was finally willing to tell me why she died. She whispered out of the side of her mouth the cause of her death: “Tuberculosis”. The last family secret about Erminia Imbriano had been revealed to me almost 90 years after her death; a death which must have carried such negative stigma and shame in her time. Now it signifies, bravery, strength, endurance, courage and sacrifice to me. I never knew or understood how negatively the Spanish Flu impacted my grandmother’s life and how lucky I am to be alive in the age of Covid-19. I have not found a photograph of her, but I have a clue, or perhaps it’s just wishful thinking, that when I look in the mirror, I see my grandmother, Erminia Imbriano. Note: The descendants of Antonio Gioino and Erminia Imbriano currently reside in New Jersey, USA. There are currently nineteen descendants.
Ritratto di Ermelinda Brudi

Il mio nome è Patrizia, penso che per capire a pieno quello che siamo sia necessario sapere ciò che eravamo. Oltre al cognome che si tramanda di padre in figlio (il mio è Mantovani) si tramandano i tratti somatici, il carattere, le abilità; il nostro DNA porta scritto quello dei nostri antenati, in noi c’è un po’ di tutti loro. La mia gente ha vissuto in piccoli paesi della bassa Lombardia, al confine con l’Emilia ed il Veneto. Queste sono terre di agricoltura di campi da zappare e coltivare. Le case piccole di solito con due stanze, arredate con pochi ed essenziali mobili in legno, la stufa a legna per cucinare e scaldarsi; l’elettricità non c’era, si usavano lampade ad olio e candele. Il gabinetto era situato in un capanno di legno fuori poco distante dall’abitazione. La dieta era povera si mangiavano zuppe di patate e fagioli ‘al tucin ‘con l’immancabile polenta.

Ritratto di Gaetano Mantovani

Il consumo di carne era poco frequente, qualche salume arricchiva la cena. Nel mese di Dicembre, quando veniva ucciso il maiale, si facevano salumi per tutto l’anno ed era una festa per tutta la comunità. D’estate la dieta era più varia. Si mangiavano i frutti dell’orto che tutte le famiglie coltivavano, le uova del pollaio e si consumava molto pesce che veniva pescato nelle ricche acque dei canali e dal grande fiume Po. Il bucato si faceva in un paiolo sul fuoco e nelle “ suioli ” mastelle metalliche che venivano usate anche per fare il bagno. Nel paiolo veniva messa acqua con un pezzo di sapone di Marsiglia e della cenere, il tutto veniva fatto bollire e poi vi ci si immergeva il bucato. Nei rigidi inverni le braci della stufa venivano utilizzate, messe in padelline per riscaldare il letto con il “Prete “. All’imbrunire nelle sere d’estate dopo cena, ci si ritrovava tra vicini di casa tutti fuori, grandi e piccoli, a conversare, raccontarsi storie, a fare “ filò “. Si formavano grandi gruppi, o piccoli gruppetti, come le donne che rammendavano o ricamavano in circolo attorno alla luce fioca delle lampade. Gli spostamenti avvenivano per lo più in bicicletta o su carretti trainati da cavalli o da asini. Le strade principali erano ghiaiate, solo le piazze erano di ciottolato. I miei antenati erano povera gente, braccianti agricoli al servizio di possidenti e bovari ”buar” addetti alla cura della stalla e del bestiame. Ho sempre avuto un legame famigliare forte e le vicende singolari di famiglia si tramandano da generazioni. Vi racconto alcune vicende famigliari tramandate fino a me.

Atto di nascita di Ermelinda Brudi, 1876

Ermelinda Brudi e Gaetano Mantovani, i miei trisnonni, dei quali ho trovato sul sito Antenati l’atto di matrimonio e l’atto di nascita di lei, risalendo così ai miei quadrisavoli, Ottaviano Giuseppe Budri e la moglie Carolina Piva e Cova Modesta con Angelo Mantovani dei quali nessuno aveva memoria.

Ermelinda e Gaetano sposi il 15 maggio del 1900 erano braccianti agricoli, abitavano in una piccola casa con un orto ed un pollaio abitato da sette/ otto galline che probabilmente rappresentavano tutta la loro ricchezza, ed erano un sostentamento importante per tutta la famiglia. I ladri, tutti gli anni in inverno, mettevano in difficoltà la famiglia, rubando tutte le galline. Gaetano ed Ermelinda, in occasione delle feste Natalizie, si recavano a fare visita alle varie famiglie dei parenti di lui a Bergantino (RO), suo paese natale. Ogni famiglia che veniva a conoscenza del furto subito, gli faceva dono di una gallina e così al ritorno a casa a Poggio Rusco avevano ripopolato il pollaio.

Un’ altra vicenda tramandata riguarda la nascita di uno dei loro cinque figli. A settembre era il tempo della mietitura del gran turco. Ermelinda e Gaetano lavoravano nei campi. Il lavoro era frenetico. Ermelinda, al nono mese di gravidanza, dopo pranzo non si sente molto bene, avvisa suo marito e si incammina verso casa. Sulla lunga strada ghiaiata, Ermelinda riconosce i dolori del parto. Man mano che proseguiva, i dolori si facevano più forti. Sola ed esausta, si adagiò su di un cumulo di ghiaia al margine della strada per prendere fiato. Un passante con un carretto si fermò per soccorrerla. Il signore si offrì di accompagnarla a casa, ma quel bimbo aveva fretta di affacciarsi al mondo e quel passante si improvvisò allevatrice ed aiutò Ermelinda a dare alla luce il suo bambino. Quel bambino era mio bis nonno Italo. Un giorno, il ventenne Italo, tornando in licenza da militare, e percorrendo la strada che portava a casa sua, chiese un passaggio ad un anziano signore che conduceva un carretto. Il signore lo fece salire e cominciarono a dialogare. Italo aveva voglia di sentire discorrere nel suo dialetto. Ad un certo punto quel signore gli disse “ set bagaet tanti an fa chi propria chi o dat na man a na dona a far nasar so fiol” (sai ragazzo , tanti anni fa proprio in questo punto, ho aiutato una donna a partorire suo figlio).  Italo sentì un brivido e disse “Alora vu a si Bruno”  (allora lei è il signor Bruno, nome di fantasia perché negli anni è andato perso il nome). Il signore sussultò, lo guardo e con aria sorpresa e chiese come facesse a saper il suo nome. Italo ribattè  “perché cal putin a sera mi!”  (perché quel bimbo ero io).

Ritratto di Bice Trazzi, 1922-1925

Italo, bracciante agricolo, si sposò con Bice Trazzi; sarta e donna di casa. Di lei si conoscono i nomi dei genitori: Saule Trazzi  e Angela Benfatti . Cercando sul sito Antenati nella sezione “Trova i nomi”, ho trovato l’atto di nascita di Saule  e quello dei suoi sette fratelli. Inoltre, ho trovato anche il nome dei loro genitori: Erminio del 1852 e Generosa Panazza . Se chiudo gli occhi, li vedo di domenica nella loro casa, tutti seduti a tavola; quei due giovani ed i loro otto bambini. I miei bis nonni Italo e Bice, che ho avuto l’onore di conoscere, hanno avuto tre figlie ed un figlio maschio mio nonno, Silvano Mantovani. Con mio nonno ho avuto un rapporto speciale, di simbiosi, di intesa. E’ stato il mio nonno del cuore, quello preferito. Silvano, nato nel 1926 , ha frequentato la scuola fino alla quinta elementare poi ha cominciato a lavorare nei campi. Con il nascere delle industrie, lavorò come operaio nello zuccherificio del suo paese, Sermide. Si sposò nel 1948 con Lina. Le sue grandi passioni: la pesca ed il ballo liscio. Silvano se ne è andato nel 1992,  quando io ero appena diventata maggiorenne. Ha lasciato sola la nonna Lina Saccomandi  figlia di Giovanni Lino e Lea Roncati. Lina, di origine ferrarese nata a Pilastri, mondina da sempre. Lina lavoratrice instancabile, tagliatrice di canapa industriale, faceva grandi fascine e poi a piedi nudi immergeva le fascine nei maceri, in modo che la lavorazione per ottenere corde e fibre per realizzare sedie fosse più semplice. Questo faticoso lavoro era svolto soprattutto da donne per risparmiare sulla manodopera, in quanto le donne costavano il 20-30 % in meno del salario di un uomo.

Matrimonio di Vittorio Bianchi e Erta Vertuani, 1947

Delle origini di mia nonna Lina ho trovate pochissime informazioni ma continuerò a cercare. Dai miei nonni è nato un solo figlio, mio padre Franco 1950 che, come da tradizione, porta anche il nome di suo nonno Italo. Franco Italo, mio padre, barbiere dall’età di quattordici anni, si trasferì a Milano per maggiori opportunità lavorative. Franco si sposa cinquanta anni fa con Marisa Bianchi  1953 di Sermide (MN) figlia di Vittorio e Erta Vertuani. I due vissero a Milano per dieci anni, lui barbiere e lei operaia. In quegli anni, nascemmo io e mio fratello Andrea. Nel 1980 tutti tornammo a Sermide, paese natale dei miei genitori, per riunire la famiglia ai nonni. La mia ricerca, oltre alla mia curiosità, è stata anche incentivata da un diario trovato in un cassetto scritto da mio nonno Vittorio, dove raccontava brevemente la sua vita. Vittorio Bianchi nacque nel 1921 a Sermide (MN.) Frequentò la scuola fino alla quinta elementare e, a tredici anni, iniziò a lavorare come custode di vitelli. Partì per il militare e poi scoppiò subito la guerra. Così fu mandato in Africa, “ sotto le bombe” come diceva lui. Fu fatto prigioniero in Algeria e portato in America, dove raccontava che, allo sbarco, le persone si affollavano al porto, per vedere l’arrivo degli Italiani; perché si diceva avessero la coda. Nei suoi racconti puntualizzava ch’ erano loro gli strambi.. diceva: “  mangiano il gran turco che noi diamo come cibo alle galline”. Tornato a Napoli dopo cinque anni in America , vi rimase altri cinque anni come prigioniero di guerra. Liberato con il tempo tornò a casa; tutto ai suoi occhi era cambiato, chiedendo trovò la casa dove abitava la sua famiglia, cosi dalla strada vide il padre che……..
lo lascio leggere direttamente dalle sue parole…

 

Il primo da sinistra è Carmelo Monteleone

La lingua italiana non ha un termine che possa esprimere il concetto di nostalgia per qualcosa o qualcuno che non si è mai conosciuto, o un luogo che non si è mai visitato. Dobbiamo allora cercare la ricchezza di altre lingue lontane e difficili, come il finlandese kaukokaipuu o il giapponese natsukashii che evoca qualcosa di bello e lontano. Quest’emozione vagamente irrazionale che infrange le barriere dello spazio e del tempo da sempre mi lega a mio nonno Carmelo, lasciando che percepisca come ricordi quei frammenti di vita ormai lontana che ho ricostruito negli anni dai racconti familiari e dalle ricerche genealogiche. Se sono nata in un preciso luogo è proprio grazie a te che tanti anni prima lo avevi scelto per formare la tua famiglia, là dove esigenze di lavoro ti avevano portato, lontano dalla tua famiglia di origine. Un’altra coppia forestiera avrebbe scelto quella stessa cittadina del Lazio subito dopo la guerra ma la tua breve esistenza si era già tragicamente spenta.
Era esattamente il 26 novembre del 1900 quando nascevi tu, centoventi anni fa, a Patti in provincia di Messina, quinto figlio di Antonino (di Giuseppe e Angela Rottino) e Concetta Furnari (di Antonino e Angela di Nardo), in quella via dietro il Castello che oggi ha nome via Magretti e che nella mia visita a Patti di tre anni fa, come attirata da forze invisibili, casualmente mi portò a scegliere il mio albergo proprio in quella via.
Della tua infanzia pattese non so nulla purtroppo, né conosco i motivi che intorno al 1904 spinsero la tua famiglia a trasferirsi nella vicina Sant’Agata di Militello dove nacquero i tuoi fratelli Salvatore e Antonino. Qui avrai frequentato la scuola e da qui giovanissimo hai scelto quale sarebbe stata la tua carriera: a 18 anni ti sei arruolato nei Carabinieri Reali, mi chiedo ancora quale scuola allievi Carabinieri avrai frequentato, ho ancora lacune in questo primo periodo della tua vita ma presto avrò le tue lettere, preziosi documenti che ho studiato riga per riga per ricostruire la carriera, i luoghi in cui hai vissuto, le persone che sono entrate nella tua vita e tanto care sono state per te che avevi una parola affettuosa per tutti. Dal 1929 al 1934 ti ritrovo così già ben avviato nel tuo lavoro, ti stai facendo onore nel grado di appuntato, ormai vivi a Roma ma non so esattamente da quando, provo a immaginare come doveva essere il tuo lavoro nella Roma fascista: eri già lì nel 1924, a indagare sul caso Matteotti? Chissà, me lo sono chiesta tante volte e con un po’ di pazienza lo scoprirò.
Cosa succede dunque in questi cinque anni per farti scrivere quasi una lettera al giorno e descrivere le tue giornate? Semplice, ti sei innamorato di Benedetta, che chiami semplicemente Bettina. Ti ingegni in ogni modo per non farle sentire troppo la nostalgia inevitabile di quel rapporto a distanza, tu a Roma e lei in Sicilia ad aspettarti ad ogni licenza, su di lei concentri le tue attenzioni, la tieni un po’ sulla corda con una vena di gelosia, le scrivi frasi spiritose per farla ridere un po’ ma poi diventi dolce e appassionato. Con quest’altalena di emozioni ma con l’incrollabile fede nell’amore eterno che le giuri e che mai tradirai passeranno gli anni del vostro fidanzamento per arrivare infine a quel 1 dicembre 1934 in cui pronuncerete il fatidico sì nella vostra Sant’Agata di Militello e dal giorno successivo sarete nella vostra nuova casa a Civita Castellana: per mettere su famiglia ci voleva più tranquillità ed il delicato incarico che svolgevi a Roma era poco compatibile con questo desiderio.
Saranno i vostri anni più belli, quelli che vedranno la nascita dei vostri figli, Antonio (mio padre) che nella migliore tradizione siciliana porta il nome di entrambi i suoi nonni, e Franco. Ma sui giorni belli, tanto sospirati, passerà presto una nuvola nera: l’Italia entra in guerra nel giugno del 1940, hai ormai quasi 40 anni, una famiglia, due figli, il tuo lavoro in provincia, per un soffio avevi scampato la chiamata alle armi in occasione della prima guerra mondiale e forse all’inizio ti culli un po’ nella speranza che magari anche stavolta riesci a evitare la guerra, in fondo non sei più giovanissimo per la vita in trincea.

Il secondo da sinistra è Carmelo Monteleone

La guerra è iniziata ma per il momento sembra lontana, su altri fronti, non ci tocca ancora ma tu comunque non abbassi la guardia: i primi ricordi di bambino di mio padre sono legati ad una grande mappa che sembra tenessi in casa e sulla quale segnavi l’avanzare dei vari fronti e le alterne sorti dei combattenti. Poi la situazione precipita, da una lettera si intuisce che sei stato richiamato e in breve tempo ti ritrovi al fronte a scrivere a casa, è il 1942. Non puoi scrivere dove sei ma chi legge lo sa, in una lettera datata agosto del 1943 sei appena rientrato da una licenza e scrivi che il tuo rientro al fronte si è svolto senza difficoltà, la nostalgia della famiglia si fa sentire fortissima ma il tono è rassicurante. In Italia meno di un mese prima era caduto il fascismo e Mussolini era stato arrestato, quasi sicuramente eri a conoscenza della situazione difficile che stava attraversando il nostro paese e dell’incertezza totale che regnava sui vari fronti nei quali erano impegnate le nostre forze armate. Sarei pronta a scommetterci che nella tua mente sempre attiva tu un piano B magari lo stati già elaborando ma la prontezza di spirito non è bastata, a te come alle migliaia di IMI che nelle prime ore dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre 1943 sono caduti prigionieri dei tedeschi.
Fu l’alba del 9 settembre che ti vide catturato nei pressi di Pristina, nell’allora Albania (oggi Kossovo) ed anche allora, sul treno che ti portava in Germania, su un elegante biglietto da visita con il tuo nome, stilasti una lista di nomi (quasi sicuramente tuoi commilitoni che con te hanno condiviso quel triste viaggio) e con l’incerta grafia di chi non conosce il tedesco tentasti più volte di scrivere Witzendorf, prima destinazione e campo di smistamento verso altri campi più propriamente di lavoro.
Nello Stalag in cui ti mandano continui a scrivere, mentre cerchi di rassicurare la famiglia sul tuo stato di salute domandi apertamente perché le tue lettere non ricevono risposta e temi il peggio per chi è rimasto a casa. Già, ma casa dov’è adesso che l’Italia è invasa dai tedeschi? Dove sono tua moglie ed i tuoi figli, saranno tornati in Sicilia? I dubbi ti torturano.
E’ il giorno di Natale del 1944, alla mensa hanno servito il pranzo che per quel giorno sembra essere appena più commestibile del solito; tornato nella baracca, la nostalgia di casa ti fa prendere in mano la penna ancora una volta e scrivi rivolgendoti direttamente ai tuoi figli.
La tragedia che ti ha strappato per sempre all’affetto dei tuoi cari avviene il 21 febbraio del 1945, nella fabbrica di munizioni vicino Oranienbaum (Munitionsanstalt Kapen), un sito ben nascosto nel folto della Foresta Nera, vicino al fiume Elba. Solo pochi giorni prima Dresda, distante circa 170 chilometri, era stata quasi rasa al suolo in uno dei più devastanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, il fronte orientale stava per cedere definitivamente sotto i colpi inferti dall’avanzata sovietica, i primi campi di concentramento in quell’area furono liberati già nel mese di aprile e fa rabbia, proprio tanta rabbia, che per poco più di due mesi non si sia potuto scrivere un lieto fine per questa storia.
Nel dopoguerra la Germania orientale, come noto, cadde sotto l’influenza sovietica; l’ex- fabbrica di munizioni per l’esercito, come molte aziende compromesse con il regime nazista e lo sforzo bellico, fu riconvertita in un’industria chimica, la Chemiewerk. Con la caduta del muro e la riunificazione delle due Germanie il sito fu abbandonato e solo in anni recenti bonificato per essere poi inglobato nel più ampio progetto della Riserva Naturale denominata Biosphärenreservat Mittlere Elbe.

 

Si invita a leggere anche l’approfondimento sulle ricerche della storia di famiglia di Roberta Monteleone.

Bisnonni Luigi Vullo e Calogera Piazza con i figlioletti Salvatore e Grazia – Chicago 1905

Desideravo da tempo trovare l’occasione per raccontare una parte della storia della mia famiglia, una famiglia semplice come tante  della Sicilia di fine Ottocento. La Sicilia, come il resto della penisola italiana post-unitaria, viveva in quel periodo una profonda crisi economica, di identità culturale e sociale.

Tutto ebbe inizio da un piccolo paese del centro della Sicilia, Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta, quando il mio bisnonno materno Luigi Vullo, di professione “capraio” (nato a Vallelunga in data 29 gennaio 1870 da Salvatore e da Grazia Arnone), a ventisei anni decise di lasciare tutto per inseguire il sogno americano, insieme alla sua giovane sposa ed alla loro primogenita di appena un anno. Il 18 aprile 1896 infatti si era unito in matrimonio con Calogera Piazza, di professione filatrice (nata a Vallelunga in data 23 giugno 1874 da Giuseppe e da Calogera Patti), ed il primo febbraio dell’anno successivo era venuta al mondo la loro primogenita Grazia. Il viaggio fu abbastanza impegnativo anche perché fu necessario raggiungere il porto di Napoli (viaggio affrontato dapprima in treno, da Vallelunga a Palermo, e successivamente in nave, da Palermo a Napoli) ed infine salpare con la nave “Scindia” alla volta di New York, il 16 aprile 1898. Arrivati a destinazione dopo quasi un mese di viaggio (11 maggio) ad Ellis Island dichiararono di essere diretti a sud, a New Orleans, ospiti del cognato Mulè Antonino (marito di Loreta Piazza, sorella maggiore della mia bisnonna) per motivi, ovviamente, lavorativi. Mulè Antonino e Loreta Piazza emigrarono negli USA qualche anno prima dopo il loro matrimonio avvenuto a Vallelunga in data 13 febbraio 1892. Non so che tipo di lavoro esattamente svolgesse il mio avo in America, ma non mi è per nulla difficile immaginare un impiego adatto alla sua condizione nel settore dell’allevamento, presso una grande fattoria per esempio, o nell’edilizia, oppure in qualsiasi altro settore dove venisse richiesta molta manodopera, in assenza di particolari requisiti.

Sin dai primissimi tempi, la vita in America per i miei bisnonni dovette essere tutt’altro che facile e felice, soprattutto perché segnata da molti lutti: la morte della figlioletta Grazia (1900) insieme a quella di altri due gemellini morti dopo pochi giorni di vita, e la morte di Loreta Piazza (1901), sorella della mia bisnonna, alla giovane età di 30 anni. Fu allora che i miei bisnonni decisero di trasferirsi altrove, a Chicago, dove il 20 maggio 1901 nacque Salvatore, l’unico figlio maschio sopravvissuto: il 27 marzo 1904 nacque un’altra figlia a cui imposero nuovamente il nome di Grazia, anche questa sopravvissuta e morta in età avanzata. Pensando di porre fine all’esperienza americana, rientrarono in Sicilia nel 1905 dove nacquero altre due figlie, Carolina (Vallelunga, 10 marzo 1906) e Giuseppina, mia nonna materna (Vallelunga, 2 aprile 1908). Vi ritornò solo il mio bisnonno Luigi, per altre due volte, nel maggio del 1908, dopo la nascita di mia nonna Giuseppina, e nel maggio del 1910, dopo la nascita della penultima figlia Anna (6 febbraio 1910) giusto il tempo per mettere da parte dell’altro denaro per ingrandire e potenziare le proprietà con l’acquisto di altri terreni ed altro bestiame minuto. Intanto a Vallelunga la mia bisnonna Calogera aveva aperto presso la sua abitazione un forno per la panificazione, un’attività molto redditizia al servizio del quartiere della Nunziatella allora in espansione. Al suo rientro definitivo in patria a Vallelunga nacque la sua ultima figlia di nome Luigia (25 febbraio 1917).

Purtroppo la travagliata vita del mio bisnonno cessò proprio quando, malgrado la triste parentesi della Grande Guerra, tutto sembrava andare per il meglio. Colpito infatti dalla febbre dell’influenza Spagnola (a nulla valsero i salassi e gli altri rimedi somministrati dai medici locali) spirò a Vallelunga in data 12 ottobre 1918 all’età di 48 anni, lasciando moglie e 6 figli. I seppellitori improvvisarono una bara inchiodando le tavole del letto matrimoniale in cui vi rinchiusero il cadavere del mio bisnonno Luigi, e, in tutta fretta e senza esequie, venne trasportato su di un carro al cimitero suburbano e sepolto nella nuda terra. Anche mia nonna Giuseppina ebbe, contemporaneamente al padre, quella maledetta febbre, ma la superò forse per la sua giovane età (10 anni)!

Bisnonna Calogera Piazza intorno al 1945

Rimasta vedova, la mia bisnonna Calogera, su consiglio dei suoi familiari, vendette parte delle proprietà acquistate con i sacrifici di anni di lavoro in America, ed in parte se le riservò per darle in dote alle figlie che man mano si andavano sposando. L’unico figlio maschio, Salvatore, purtroppo, dopo la morte del padre, senza più una guida sicura, cominciò a frequentare delle amicizie poco raccomandabili. Nel 1922 cadde vittima di un tranello assistendo ad un omicidio. Ricercato dai carabinieri quale supertestimone di quell’omicidio, dopo le minacce di morte rivolte a lui, a sua madre ed alle sue sorelle, da parte degli assassini qualora avesse testimoniato, per amore e la salvezza della famiglia “emigrò per ignota destinazione” (così si scrisse di lui a caso archiviato), né se ne seppe mai più nulla.

Stanca nel corpo, ma mai nello spirito, sempre grata a Dio per quel poco che aveva, la mia bisnonna Calogera morì a Vallelunga il 7 ottobre 1946 all’età di 72 anni. In qualità di consorella della “Pia Associazione delle Sacramentine”, le sue spoglie mortali riposano nel sepolcro della suddetta associazione nel cimitero comunale.

Le tre sorelle Malosto: Maura, Hilda e Yolanda

Mi chiamo Antonella Malosto, figlia di Sante e Clementi Carla. Vivo nella provincia di Verona. Le storie e i racconti di famiglia mi hanno sempre appassionato. Ho iniziato, da piccola, a raccogliere in fogli, blocchi notes, quaderni, cartelline, ogni informazione che mi giungeva dai miei genitori, dagli zii, dai nonni o da conoscenti. La ricerca genealogica ha, perciò, camminato al mio fianco per molti anni concretizzandosi, negli ultimi, in una vera passione per i testi antichi. I primi dati di aggancio, con il passato, li ho ereditati da mio zio Italo Malosto. Lui ha tenuto i contatti, via email, anche con i parenti del ramo di mia nonna (la mamma di mio padre si chiamava Bisson Gemma) trasferitisi in Argentina. Con la morte dello zio mi sono sentita in debito verso quel passato che lui non era riuscito a tracciare con completezza. Ho deciso di continuare e di arrivare fino a dove era possibile. Ho iniziato tracciando l’albero genealogico della famiglia e procedendo a ritroso concentrandomi, prima di tutto, sul ramo “Malosto”. All’inizio mi sono soffermata, anche, su un dettagliato panorama etimologico-storico legato ai significati del cognome (Mal-osto significante cattivo oste, oste che tratta male i suoi clienti). (Quando erano più consanguinei le fonti li nominavano Mal’hosti). Ho preso in considerazione tutte le aree, in Italia, in cui si era diffuso, aiutandomi con i motori di ricerca online. Ho approfondito la comparsa dei cognomi nella storia italiana, realizzando che la loro ufficialità è stata sancita con il Concilio di Trento che, nel 1564, dichiarava l’obbligo per i parroci di tenere un registro ordinato dei battesimi, con nomi e cognomi. Pertanto, il cognome, fino ad allora, lo si poteva trovare solo nei ranghi più nobili delle gerarchie. Venezia fu tra le prime città italiane ad inserire i cognomi tra il 1100 ed il 1200. Ho consultato più testi tra cui “I cognomi di Verona e del veronese di Giovanni Rapelli” e “Cognomi e mestieri di Walter Basso” allargando i bacini di conoscenza. Per continuare poi con la consultazione di più siti di ricerche araldiche legate a possibili rami di nobiltà e relativi stemmi che la famiglia poteva vantare: queste ricerche hanno dato, successivamente, esito negativo o parziale. Ho scoperto anche varianti del cognome che da Malosto è diventato Malosti, Mallosto, Malhosto, Malostro, Malossi, Malosso,  soprattutto nelle fonti più antiche in cui il retaggio del latino era ancora presente.

I coniugi Sante Malosto e Maria Catterina Calafà: bisnonni di Antonella Malosto

Poi il cammino si è diretto verso il territorio in cui mio padre aveva sempre riferito, che aveva origine la sua famiglia: Orgiano/Sossano in provincia di Vicenza. Purtroppo, nel 2013, l’Archivio di Stato di Vicenza non era stato ancora inserito nel portale Antenati del Mibact, perciò lavorando, ho iniziato a comuni interessati per capire come mi sarei dovuta muovere per ricevere informazioni sui miei antenati. Alcuni comuni premettevano che le richieste erano a pagamento. Altri comuni mi rispondevano che era sufficiente fissare un appuntamento per la consultazione delle fonti. Questo si è protratto per molto dovendo usare solo ritagli di tempo libero. Ricordo con chiarezza quando mi sono seduta su un tavolo del comune di Sossano e ho potuto visionare i primi registri del 1800. Non avevo mai visto un registro di quel periodo. Mi sono sentita travolgere da un’emozione unica. Leggere per la prima volta il mio cognome in un testo così antico, vedere che tutto era scritto a mano, con cancellature ed evoluzioni successive dei dati nel foglio, mi ha fatto desiderare di essere stata nel loro tempo. Per abbracciarli e ringraziare tutte quelle persone per esserci state. Ecco Malosto Sante, nato a Sossano in Contrada Monti, al numero 22, di Venerdì 1 Novembre 1872, era uno dei miei avi. Ancora non sapevo come agganciarlo alle mie conoscenze ma ho tracciato un primo anello con i figli che, sono comparsi nelle famiglie Malosto e residenti, in quel periodo, a Sossano. Le ricerche successive hanno deviato il mio cammino verso l’archivio storico della diocesi di Vicenza, in Via Duomo n° 10 perché, le parrocchie del territorio, mi rispondevano che tutto era stato raccolto in un unico luogo. Inoltre le carestie, pestilenze, guerre, e inondazioni, che avevano provato il territorio tra il 1500 ed il 1600, avevano fatto perdere molta documentazione.

I coniugi Gemma Bisson e Pietro Malosto: nonni di Antonella Malosto

Il certificato di matrimonio di mio nonno Malosto Pietro con Bisson Gemma, avvenuto presso il comune di Rovolon, il 29 ottobre 1936, mi è giunto via email. I tanti spostamenti successivi, presso l’archivio di Vicenza, mi hanno permesso di scoprire che la mia discendenza diretta proveniva da un altro Malosto Sante, cugino del primo che avevo scoperto a Sossano. Questo   mio avo, era nato a Orgiano lunedì 30 luglio 1866 e si era coniugato con Calafà Catterina Maria. Era il mio bis nonno. Dopo molti altri spostamenti nel territorio, ed utilizzando le fonti di cui ero venuta a conoscenza, grazie alla biblioteca di Orgiano, ho scoperto progenitori morti in guerra e presenti nei monumenti di Sossano e Orgiano (Ulindo e Giuseppe).

Nel contempo era divenuto necessario studiare e approfondire anche la scrittura dei testi antichi. Molti documenti mi risultavano indecifrabili. È stato molto utile il testo Leggendo e trascrivendo un vecchio documento di Elda Forin Martellozzo per decifrare lettere, significati, usi e abbreviazioni adottate. Ho tracciato anche una mappatura del territorio e della dislocazione delle abitazioni dei miei avi grazie al preziosissimo libro scritto da Don Ignazio Muraro, Orgiano- cenni storici, che ha descritto con precisione il tessuto sociale di quel periodo, quasi fotografando minuziosamente il paese e i suoi abitanti. Ho scoperto, con ulteriore emozione, che il luogo esatto da cui è nata la mia famiglia era la contrada Pilastro di Orgiano. Negli anni ho poi allargato il territorio con Sossano “I loschi e Sossano tra il XVI e XVIII secolo” inserendo altre conoscenze. Il processo a Paolo Orgiano di Claudio Povolo ha aggiunto altri progenitori, risalendo fino alla metà del 1500. Utile e chiaro nelle descrizioni anche Orgiano tra il duecento e trecento: attraverso i Libri Feudorum  di Maria Grazia Bulla Borga, che ha contribuito all’arricchimento degli incastri.

Oggi il mio albero genealogico procede a ritrovo dal 2020 al 1550 circa contando più di 400 persone che portano il cognome Malosto. Ho inserito comunque anche i dati dei relativi consorti anche se con cognomi diversi. Sono essenzialmente nel veneto ed in Brasile. Il contatto con chi è emigrato in Brasile l’ho tracciato con l’aiuto dei contatti di facebook. Sono venuta a conoscenza di un gruppo “Familia Malosto” che mi ha permesso di inserire tutti i collegamenti con le famiglie dei progenitori che erano emigrati nel 1888 con la motonave Adria. Ora, gli indicatori dello stato civile, dicono che per la provincia di Vicenza, sono ancora in corso le attività di digitalizzazione, mi dispiace molto. Attendo con trepidazione questa possibilità online sia per la consultazione veloce e la possibilità di non dover fare spostamenti dalla propria residenza ma soprattutto per il completamento dei dati già in mia conoscenza o per acquisire nuove fonti.

Scoprire le mie radici e la loro memoria storica ha creato, in me, un’intensa suggestione. Come un patrimonio che aspettava solo di essere scoperto. La testimonianza di ciò che è stato è diventata anche nostalgia. Tutte quelle persone “comuni” che hanno oltrepassato il loro mondo conosciuto senza far rumore! Quei braccianti che abitavano in quei casoni di paglia e fango e mangiavano pane e uva. In una miseria unica hanno solcato le nostre identità. É grazie a loro che oggi noi siamo. Non è solo un onore per me, è il ritrovarmi. È il ricordarci che la nostra essenza è preziosa e viene da lì. Nella raccolta delle fonti ho cercato di essere precisa e di fare un lavoro di ricerca e catalogazione più accurato possibile nel desiderio di essere di aiuto a quanti intendono approcciarsi a questo meraviglioso cammino. O intendano utilizzare le mie strategie di ricerca, alla riscoperta delle loro origini. Per me, i risultati ottenuti erano insperati quando ho iniziato il cammino e tutt’ora lo sono se penso a tutte quelle persone ritrovate. Ho legato un filo a me ma contemporaneamente anche a tutte loro. Storie individuali ma condivise da altre famiglie e unite alle vicende del paese. Sono emerse relazioni che mi hanno avvicinato alle trasformazioni delle diverse epoche. Tutto è stato appassionante e coinvolgente. Dentro alla piccola storia di ognuno dei miei avi c’era un’intera società che vi ruotava. Sono in me e continueranno ad esserci. Ero orgogliosa prima di essere una “Malostina”, come mi chiamavano da piccola, ma ora, a ragione, lo sono ancora di più.

Nel frattempo, per tutte le motivazioni citate, ho iniziato con la provincia di Verona e sto ricostruendo l’albero genealogico della famiglia di mio marito, i Pizzoli.

Grazie! Al Portale Antenati per aiutare a realizzare i sogni di tante famiglie e avermi dato questa possibilità.

Stemma della famiglia Patrizi di Bellegra

La mia famiglia materna è quella dei Patrizi di Bellegra. Io da laureato in Teologia (S.T.B.) e studente in diritto canonico ero interessato ad approfondire la storia degli ecclesiastici della casa ed a seguito di una serie di ricerche storiche presso le seguenti fonti:

Archivio dell’Abbazia Territoriale di Subiaco Archivio Segreto Vaticano
Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede
Archivio di Stato di Roma – sede di Sant’Ivo alla Sapienza
Archivio Segreto Vaticano
Archivio Storico Diocesano di Palestrina
Archivio Storico Diocesano di Roma

ho scoperto che era stato proprio il clero ad elevare una famiglia di retaggio contadino.
Il portale Antenati – Gli Archivi per la Ricerca Anagrafica è stato fondamentale per il reperimento dei dati anagrafici, in modo da studiare, attraverso gli atti di nascita, matrimonio e morte, le date, le parentele e le professioni degli avi. Principalmente contadini o possidenti, solitamente con molti figli, dei quali almeno uno per generazione era destinato alla carriera ecclesiastica, questo anche per mantenere un antico beneficio giuspatronato, poi dissoltosi con l’unità d’Italia.

La famiglia Patrizi di Civitella, poi Bellegra dal 1881, si stabilì nel feudo dell’Abbazia di Subiaco dalla prima metà del Seicento con Lorenzo (morto nel 1650 ca.) e poi suo figlio Benedetto.
Dal XVIII secolo i Patrizi erano agricoltori, i cui beni vennero accresciuti nel 1719, con il beneficio giuspatronato ecclesiastico sotto il titolo di Santa Maria della Pace, fondato da un parente, tal Francesco Pesce, e del quale la famiglia era titolare per concessione dell’abate commendatario di Subiaco. Il beneficio obbligava a quaranta messe annue in suffragio del fondatore e garantiva al titolare una casa di sette vani e tre ampi rigogliosi appezzamenti in Civitella e dintorni.
Il primo titolare fu l’arciprete don Piacentino Patrizi (nato a Civitella nel 1705). A seguire don Lorenzo Patrizi (Civitella 1762 – Roma 1842), figlio di Sebastiano Patrizi e Antonietta Cappella. Studente del Seminario di Subiaco, dopo il chiericato si trasferì a Roma per seguire i corsi di diritto all’archiginnasio della Sapienza e iniziare il praticantato legale. Nel 1789 venne ordinato presbitero. Assunto presso il Sant’Uffizio, visse le invasioni francesi di Roma del 1798 e del 1808 ove erano stati soppressi gli Stati della Chiesa, devastate le Congregazioni Romane e deportati a Parigi gli archivi della Santa Sede. Divenuto archivista del Sant’Uffizio, don Lorenzo riorganizzò con grande sforzo l’archivio. Grazie all’operato di Mons. Marino Marini, delegato pontificio a Parigi, i documenti vennero progressivamente restituiti all’Apostolica Sede. Don Lorenzo gestiva il beneficio giuspatronato di famiglia da Roma, mediante disposizioni ai famigliari e al clero di Civitella. Con lui, i terreni crebbero e diedero frutto, arricchendo sia la famiglia Patrizi che l’Abbazia di Subiaco. Si spense dopo quasi cinquant’anni di ininterrotto servizio alla Curia Romana.

Il can. Nazareno Patrizi (in piedi a sn) e Mons. Gyula Zichy (seduto) in ablegazione, Praga 1901

Il beneficio, dunque, passò al nipote don Giuseppe Patrizi (Civitella 1809 – Roma 1846), presbitero dal 1832, anch’egli si era trasferito a Roma per studiare diritto canonico e svolgere l’incarico di maestro di camera del card. Angelo Mai. L’archiginnasio della Sapienza gli conferì la laurea ad honorem e la docenza in diritto canonico nel 1841, ma morì a 36 anni.
Nel 1848 suo nipote Pietro Patrizi (Civitella 1832 – Bellegra 1900) ereditò il titolo del beneficio, che gli rese possibile il pagamento del seminario e l’ordinazione presbiterale, nel 1857. Don Pietro, come i suoi avi, prese la strada di Roma e del diritto canonico. Sotto il pontificato di Pio IX e Leone XIII fu avvocato della Curia Romana, minutante della Congregazione del Concilio e cameriere d’onore di Sua Santità. Dopo il 1870 e la presa di Roma, provò a mantenere intatto il beneficio giuspatronato dalle leggi sulla liquidazione dell’asse ecclesiastico; ciononostante il beneficio venne confiscato e immesso nel demanio statale nel 1881.
Oltre all’impegno di curia, l’importanza di Mons. Pietro si deve all’interessamento che ebbe verso il nipote Nazareno, anch’egli avviato alla carriera ecclesiastica, ma stavolta senza l’ausilio del beneficio né di alcun altro patrimonio. Mons. Nazareno Patrizi (Paliano 1866 – Roma 1958) svolse il seminario minore a Palestrina, sussidiato dal card. Antonio Saverio de Luca e, dispensato dal seminario minore, studiò con lo zio don Pietro, nel domicilio romano di quest’ultimo.

Il chierico Nazareno seguì i corsi di Teologia alla Gregoriana e di utroque iure all’archiginnasio della Sapienza, laureandosi nel 1895. Nel 1897 e nel 1901 fu segretario di ablegazione presso le corti spagnole ed austro-ungariche, riportando il cavalierato di Isabella di Cattolica e l’onorificenza di ufficiale dell’ordine imperiale di Francesco Giuseppe I. Era, inoltre, canonico della cappella papale dei Ss. Celso e Giuliano dal 1899. Pio X lo annoverò tra i suoi cappellani segreti d’onore nel 1903 e lo incaricò di pubblicare, nel 1905, il volume “La dotazione imprescrittibile e la legge delle guarentigie”. Nel 1909 divenne avvocato rotale.
Abile diplomatico e conoscitore del francese e dello spagnolo, era incaricato d’affari dei vescovi argentini. Il suo amico di gioventù Benedetto XV, al secolo Giacomo della Chiesa, gli propose la nunziatura apostolica del Cile, nel 1914. Mons. Nazareno rinunciò, rimanendo a svolgere il proprio ministero a Roma, quale avvocato rotale e cappellano segreto di Sua Santità. Nel 1919, per Benedetto XV, scrisse un poemetto dal titolo A Benedetto XV nella sua festa onomastica del 25 luglio 1919.
A Bellegra fondò la Congregazione della Ss.ma Addolorata, un culto che egli istituì nella cappella di Santa Lucia, oratorio privato della famiglia Patrizi, associandolo alla Pia Unione Primaria del Ss.mo Crocifisso di San Marcello al Corso. Restaurò le cappelle dei Santi Francesco e Tommaso da Cori e coadiuvò, nell’agosto 1929, i festeggiamenti per il bicentenario della morte di Tommaso da Cori, presso il convento di S. Francesco, cui dedicò la lirica Sacro Ritiro Francescano. Nel 1933 partecipò come giudice (testis rogatus) al Sinodo Diocesano. Pio XII lo elevò al rango di cameriere segreto nel 1939 e di prelato domestico nel 1941.

Costanzo Patrizi, Fiume 7 novembre 1919

Nel 1951, Mons. Nazareno Patrizi diede alle stampe la sua ultima pubblicazione: Il mese di giugno ad onore del Sacro Cuore. Il suo animo poetico si concluse, invece, con il componimento Vecchie memorie, pubblicato postumo.
Oltre agli ecclesiastici, nei primi anni del Novecento un ramo della famiglia, con a capo Vincenzo Patrizi, si stabilì a Roma, per motivi lavorativi. Vincenzo Patrizi (Civitella 1871 – Roma 1918) morì a causa dell’epidemia di “spagnola”. Suo figlio, Costanzo Patrizi (Bellegra 1898 – Roma 1971), era soldato di leva di prima categoria (matr. 23716) dal 16 marzo 1917, nel Primo Reggimento Artiglieria da Montagna; disertò dal Regio Esercito il 17 settembre 1919, perché arruolatosi nelle Legioni Fiumane. Riportò la medaglia di cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto e la medaglia commemorativa della marcia di Ronchi. Successivamente fu impiegato dell’INA e fondò la Cassa Rurale e Artigiana di Bellegra. Suo figlio primogenito, Sergio Patrizi (Bellegra 1924 – Roma 1999), commendatore al merito della Repubblica Italiana, era segretario superiore di prima classe, impiegato presso il Ministero dei Trasporti italiano. Lo stesso Sergio si era formato al seminario minore di Subiaco, ma decise di non proseguire verso il presbiterato.

Il risultato della ricerca si è dimostrato ricco di materiale storicamente sì interessante quanto, finora, inesplorato ed ha condotto alle seguenti pubblicazioni:

D. Bracale, Mons. Nazareno Patrizi. Da Bellegra alla Corte Pontificia. Con Excursus: Araldica di Bellegra e pubblicazione dei componimenti di Mons. Nazareno Patrizi A Benedetto XV nella sua festa onomastica del 25 luglio 1919 e Sacro Ritiro Francescano, Roma 2020, isbn 979-12-200-6224-4.

D. Bracale, Patrizi di Bellegra. Presbiteri al servizio della Curia Romana dal XVIII al XX secolo, seconda edizione, Roma 2020, isbn 979-12-200-6279-4.

D. Bracale, Vecchie memorie. Album di figure e luoghi di Bellegra. Con pubblicazione del componimento inedito di Mons. Nazareno Patrizi: Vecchie memorie, Roma 2020, isbn 979-12-200-6611-2.

Ricostruzione dettagliata, realizzata dal mons. Corrado, dell’albero genealogico dei discendenti della famiglia Pizziolo

Non solo ritrovarsi in tanti, ma anche vivere in un castello per tre giorni un’esperienza assolutamente unica e bella di cui conservare con amore e stupore il ricordo e che è stata possibile grazie alle ricerche genealogiche iniziate sul sito degli Antenati e proseguite nelle parrocchie

“Mi posso accontentare?
Non so, vorrei vedere gli archivi di Scandolara del 1700, magari c’è qualche altra sorpresa!”

Avevo finito così il mio racconto precedente.
In attesa di nuove scoperte, nel frattempo a settembre 2018, abbiamo organizzato un piccolo incontro tra cugini conosciuti e cugini nuovi. Non eravamo molti, una quindicina, ma credo che ci sia stata emozione da parte di tutti! Qualcuno lo conoscevo già, qualcuno erano più di 50 anni che non lo vedevo, altri, anche se vicini, non li avevo mai visti, ma l’emozione più forte è stata conoscere i due nuovi cugini veneti, nipoti del fratello del trisnonno: è stato amore a prima vista, come se ci fossimo sempre conosciuti! Noi tutti durante l’incontro abbiamo deciso di non “accontentarci” e di andare avanti.
Così ho cercato di approfondire a Scandolara e con l’aiuto del sito consigliato dal portale (familysearch) ho trovato una persona, Andrea Sartorato, che aveva avuto una nonna di nome Bianca Pizziolo e abitava vicino alla zona interessata.
Fortunatamente, Andrea, curioso quanto me, aveva già fatto ricerche per conto suo, anzi era andato anche alla parrocchia di Scandolara ed era riuscito a trovare notizie a partire da circa la metà del ‘700, anche se non sapeva assolutamente se c’erano legami fra di noi.
Ci siamo studiati gli interessanti documenti ed ecco apparire la morte nel 1786 di Giovanni Pizziolo, che dovrebbe essere il bisnonno del mio bisnonno Valentino ed anche la morte di suo padre Sebastiano, nel 1767.

Atto di morte di Giovanni Pizziolo, 1786. Parrocchia di Scandalora

Dico dovrebbe perché non abbiamo documenti per provare la cosa, però abbiamo tante somiglianze a distanza di anni

Riusciamo a capire che, nel 1785 circa, la famiglia si è divisa; una parte dei figli di Giovanni, probabilmente di secondo letto e più piccoli, è rimasta a Scandolara, invece il mio avo Francesco si è trasferito a Mogliano-Carpenedo-Mestre e si è creato la sua famiglia, ma questa è una storia già raccontata. La famiglia rimasta a Scandolara continua con la vita dei campi e col tempo, si divide di nuovo, fino ad arrivare a metà dell’800; qualcuno va in Brasile, qualcuno si trasferisce a Cittadella,

Orazio e Orsola (il primo e la terza, a partire da sinistra) sono i discendenti del ramo di Scandolara. Valentino e Renata (il secondo e la quarta, a partire da sinistra) sono i discendenti del ramo abruzzese. Orsola è vissuta nel corso dell’800, mentre gli altri avi sono vissuti nel corso del ‘900.

qualcuno rimane ancora lì. Fra quelli che rimangono a Scandolara, c’è un altro Giovanni e da lui arriva Bianca, nonna di quell’Andrea che ha trovato i documenti.

Purtroppo agli inizi del ‘900 arriva la tragedia con la prima guerra mondiale: infatti, 4 dei giovani Pizziolo, perdono la vita, chi sulle Dolomiti, chi sull’Isonzo. La vita però continua e generazione dopo generazione arriviamo a dopo la seconda guerra mondiale, quando nel 1949 nasce Corrado.
Perché Corrado è importante per la mia storia e per il raduno? Perché è stato lui che ha voluto questo incontro allargato, prendendo l’occasione delle mie nozze d’oro, e ci ha dato i luoghi dove farlo. Infatti è il vescovo attuale di Vittorio Veneto ed il vescovado ha sede nel Castello di San Martino.

Castello di San Martino, galleria degli stemmi. Vittorio Veneto (Treviso)

Alla luce delle scoperte e con molta titubanza, provo a mettermi in contatto con lui e trovo, sì il vescovo, ma anche soprattutto l’amico e cugino, che dopo la prima sorpresa per questa storia, che ha svelato quasi completamente le vite dei Pizziolo degli ultimi 300 anni circa, si appassiona alla cosa e propone di riunire tutti i rami in Veneto, terra di origine.

Lanciamo l’idea, io con i miei del ramo dell’Italia centrale, lui con i suoi del ramo veneto e, sicuramente, cogliendo l’occasione per rivedersi o per conoscersi, si aggregano in tanti! E mentre l’anno prima eravamo una quindicina, questa volta siamo 10 volte tanto! Pescara, Firenze, Bologna, Roma, Mestre, Udine, Lussemburgo e naturalmente molti dei paesi intorno a Treviso, mezza Italia e non solo, rappresentata! Siamo talmente tanti che mons. Corrado deve spostare la sede dell’incontro nel seminario vescovile! Però noi che veniamo da lontano alloggiamo nella zona del Castello dedicata all’ospitalità.

Che dire? Un luogo con più di 1000 anni alle spalle, mura antiche che hanno visto la storia della regione e che hanno ospitato, per 11 anni, anche papa Luciani.

Giorni passati a conoscersi o a farlo meglio. Conoscere una realtà mai pensata e diversa da quella a cui si è abituati, risate per i vari inconvenienti capitati, come mangiarsi un panino in una fattoria o macchine che non partono o treni saltati e poi nuove amicizie, tanti abbracci e la promessa di rivedersi per conoscersi un po’ di più.

Foto di gruppo dei partecipanti al raduno, 12 ottobre 2019

Promessa che vorremmo mantenere nel prossimo settembre, ma se non sarà quest’anno, sarà sicuramente il prima possibile.

Tutto il frutto delle ricerche sul Portale e di quello che possono aggiungere nella vita di ognuno è riassunto molto bene nelle parole che ci ha regalato, durante l’incontro, mons. Corrado e che chiudono degnamente il cerchio di questi anni:

“Carissimi,

l’evento che stiamo vivendo è stato organizzato un po’ alla garibaldina, pensando a un numero molto ridotto di partecipanti, In realtà ci troviamo molti di più, al punto che facciamo fatica a starci. E se questo è senz’altro un inconveniente, possiamo anche però, vederlo come frutto della voglia di ritrovarsi insieme, incuriositi e desiderosi di vedere la faccia, sentire la voce e conoscere l’esperienza di altre persone nelle cui vene scorre, in una certa misura, un legame di sangue che ci precede e ci unisce.

Sapere che tanti anni fa quelli che ci hanno preceduto abitavano in un’unica casa e costituivano un’unica famiglia, è un pensiero che certamente ci colpisce e ci meraviglia. Conoscere anche solo superficialmente i motivi e i percorsi attraverso i quali gli antenati che ci hanno preceduto si sono sparsi in luoghi diversi, a volte anche molto lontani, non è soltanto una semplice curiosità, ma in un certo senso, entra a far parte della nostra stessa esperienza personale e familiare; è qualcosa che sentiamo nostro, sicuramente in modo assai diverso rispetto a quello che conosciamo leggendolo nei giornali o sentendolo raccontare da altre persone pur vicine a noi.

La vicenda di Valentino che entra nelle ferrovie meridionali e sposa Maddalena Salvarezza, spostando tutta un’asse della famiglia Pizziolo nell’Italia centrale; la vicenda familiare di Sebastiano Francesco che si sposa quattro volte e si sarebbe sposato ancora se i figli, ormai genitori a loro volta, non l’avessero dissuaso; la vicenda di Virginio, Martino, Luigi, Ulderico e ancora di un altro Luigi, sempre Pizziolo, che persero la vita nella grande guerra; la vicenda di Giuseppe, maestro del paese per 40 anni; la vicenda di Mario, calciatore della Fiorentina, stimatissimo da parte del mitico Vittorio Pozzo e campione del mondo nel 1934 a cui fu negata la medaglia d’oro perché non poté giocare la finalissima in quanto gravemente infortunato nella semifinale; la vicenda di Anselmo, Milena, Maria e Angela, nonché di Guido che, più o meno negli stessi anni, consacrarono la vita al Signore, dando testimonianza esemplare della loro vita religiosa…Tutte queste vicende e molte altre che potremmo ricordare, entrano a far parte della storia della nostra famiglia.

È molto bello, se ci pensiamo, magari non le avevamo mai conosciute, ma sentendone parlare, sentiamo che, poco o tanto, ci appartengono: sono la nostra storia!

Grazie quindi di essere venuti e venuti numerosi. Grazie a questa ricerca che ha messo in moto tutto questo e che ci ha permesso di conoscerci anche con quanti neppur sapevamo che esistessero. D’ora in poi, anche se non ci frequenteremo molto, sarà sicuramente di conforto sapere che in qualche parte d’Italia o del mondo, i Pizziolo continuano a portare avanti la loro vita e la loro famiglia. Sapendolo, pensiamo a loro con simpatia e affetto, sperando che la loro vita sia buona, onesta e serena.

Vittorio Veneto 12 ottobre 2019”

 

E io aggiungo… grazie al lavoro di chi inserisce tutti gli archivi storici sul Portale degli antenati e ci ha dato la possibilità di ritrovarci.

Per chi avesse perso il “primo capitolo” di questa storia, segnaliamo di seguito il precedente racconto: Il filo conduttore della mia famiglia, la ferrovia adriatica

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